Testimonianze: Giovanni Donato
Fin dal lontano 1966, presso i Campi di Lavoro attivati dall’Associazione Universitari Costruttori di Padova sicuramente sono transitati alcune migliaia di “giovani” e “non più giovani”, spinti dal desiderio di fare un’esperienza di volontariato a vantaggio di persone o associazioni bisognose di aiuto.
Certamente, per molti di questi “giovani” e “non più giovani” il passaggio in un campo di lavoro è stato come il passaggio di una meteora nel nostro firmamento; ma per non pochi, però, il transito si è trasformato in un periodico “appuntamento annuale”. Questi “giovani di età e di spirito” inserivano uno spazio, in genere una settimana delle loro vacanze, da destinare al volontariato.
Nel corso dei cinquant’anni di vita dell’Associazione, i Campi di Lavoro attivati sono stati alcune centinaia e hanno offerto a molte persone la possibilità di scegliere liberamente la località e il periodo di lavoro. Fin da giovane, essendo padovano di nascita, ero a conoscenza degli scopi dell’Associazione, ma la dizione ”Universitari Costruttori” mi aveva fortemente condizionato, non essendo allora uno studente universitario.
Dopo alcuni decenni e avendo nel frattempo maturato alcune esperienze di lavoro e di studio, mi sono casualmente avvicinato all’Associazione, dopo avere letto un breve inserto pubblicato su “Famiglia Cristiana” e, quindi, mi sono candidato per un’esperienza di lavoro a Budrio (BO).
Al Campo di Lavoro ho trovato tante persone giovanissime, giovani e meno giovani, provenienti dalle località anche più remote d’Italia. A me il Campo ha offerto fin da subito un’ottima occasione d’impegno e affermazione, mettendo a disposizione le mie esperienze lavorative e professionali. In quegli anni lavoravo presso un ente pubblico che si occupava di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia elettrica e in quest’ambito avevo lavorato per diversi anni come operaio qualificato/specializzato di squadra, capo squadra, assistente tecnico e tecnico – specialista in lavori di carattere prettamente elettro –meccanico.
Se ricordo bene ho partecipato a 6 – 7 campi di lavoro e sono stato in Lombardia, Toscana, Emilia e Veneto. L’ultimo Campo è stato sui colli Euganei di Padova nel 1998. Nel corso di questa esperienza ho conosciuto tantissime persone, con le quali ho lavorato fianco a fianco e condiviso anche tante soddisfazioni.
Quasi subito mi è stato chiesto di contribuire all’organizzazione dei campi in qualità di “Responsabile dei Lavori” all’interno del cantiere. In questa veste ho cercato di dare sempre delle priorità nell’organizzazione dei lavori:
– quantità e qualità delle risorse umane disponibili;
– attrezzature e macchinari utilizzabili in cantiere;
– mezzi personali di protezione e sicurezza a disposizione di ogni singolo lavoratore;
– associazione spontanea (per quanto possibile) nella formazione delle squadre o dei piccoli gruppi di lavoro, in modo tale da favorire le nuove amicizie o consolidare quelle già in atto;
– rapida individuazione delle persone che “dovevano essere seguite” e mai lasciate sole, onde evitare che potessero incorrere in qualche incidente/infortunio personale e coinvolgere altre persone per questioni di “responsabilità civile e penale”;
– a persone fidate, dopo avere spiegato in separata sede il motivo, assegnavo questi “lavoratori deboli”, in modo tale da preservarli dai rischi e garantire loro un minimo di partecipazione e gratificazione personale.
Al mio secondo Campo di Budrio giunsi il pomeriggio di una domenica di fine agosto e mi presentai al Capo Campo per confermare la mia presenza. Nel corso di questi movimenti incrociai un mio collega di lavoro (con il quale non avevo mai lavorato gomito a gomito) e, reciprocamente sorpresi per l’incontro, ci salutammo con piacere. Al momento ritenni che anche lui fosse un partecipante al Campo di Lavoro.
Per farla breve, superati i primi momenti di reciproca sorpresa, con grande coraggio ma anche con tanta difficoltà questo collega mi confidò di avere accompagnato il figlio, sperando che l’esperienza del Campo di Lavoro lo aiutasse nella sua evoluzione e maturità. Alla vista di questo ragazzo capii subito il dramma presente nella famiglia del mio collega. In quel momento io non ero in grado di fare alcuna promessa; in seguito, quando presi contatto con il Responsabile dei Lavori, spiegai la situazione e chiesi che il ragazzo mi fosse affidato come “aiutante”.
Insieme, durante la settimana, facemmo tanti lavori e lui, attento alle mie spiegazione e al mio operato, imparò a cambiare in sicurezza una lampadina, una spina elettrica, collaborò nella stesura di un cavo elettrico provvisorio che avrebbe consentito di liberare una parete che doveva subire delle lavorazioni.
La settimana di lavoro trascorse tranquilla e ricca di soddisfazioni per entrambi. Nelle ore serali il mio “aiutante” giustamente ricercava le compagnie più adatte per la sua età. Il sabato in tarda mattinata raccolsi le mie cose e la mia borsa degli attrezzi, salutai i tanti amici e raccomandai al “mio aiutante” di porgere i miei saluti al papà.
Il lunedì pomeriggio successivo, ormai rientrato al lavoro, il padre del mio “aiutante” mi raggiunse in ufficio e mi ringraziò per come aveva ritrovato il figlio dopo una settimana di lavoro a Budrio. Io non avevo parlato con nessuno (ne parlai però in seguito) di quell’esperienza di lavoro.
Giovanni Donato
Rubano, 27. 06. 2017
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